Pig for Pikin nasce da KPAAM-CAM… Sì, ce ne rendiamo conto: questi progetti hanno dei nomi un po’ criptici!
Come avrete forse già capito però, “Pig For Pikin” è una frase che viene dal Pidgin English camerunense, e vuol dire “Maiali per i bambini”. KPAAM-CAM invece è l’acronimo di “Key Pluridisciplinary Advances on African Multilingualism – CAMeroon”, che in italiano suonerebbe (male) come “Avanzamenti pluridisciplinari chiave sul multilinguismo africano – Camerun”. È un progetto di ricerca triennale con base all’Università di Buffalo (New York) e gestito in collaborazione con tre Università del Camerun: Yaounde 1, Buea e CATUC Bamenda. Per conoscere KPAAM-CAM più nel dettaglio, guardate qui!
I principali obiettivi di KPAAM-CAM sono:
- ampliare la nostra conoscenza della pratica del multilinguismo (ossia quando una persona riesce a capire e parlare due o più lingue) nell’Africa rurale;
- sviluppare modelli di insegnamento perché ricercatori e università locali possano gradualmente arrivare a gestire l’intero lavoro di ricerca;
- contribuire a formare una nuova generazione di studiosi africani, competenti nello studio multidisciplinare dei processi linguistici e socioculturali.
E quindi che c’entra un progetto di sviluppo nelle comunità locali?
KPAAM-CAM ha un sogno nel cassetto: diventare uno studio longitudinale. “Longitudinale” in questo caso non ha niente a che vedere con la geografia, ma con il tempo: uno studio longitudinale è uno studio che dura a lungo, di solito più di una generazione.
Il motivo è semplice: il comportamento che vogliamo osservare, ovvero il multilinguismo delle persone che vivono in aree rurali, è in rapida trasformazione e quindi è importante documentarne l’evoluzione in questi decenni di cambiamenti epocali nelle società africane (pensiamo solo che nell’arco di circa trent’anni la popolazione africana urbanizzata è passata da meno del 20% alla metà del totale!). Il fattore che più sta determinando questo mutamento sociolinguistico è la diffusione del Pidgin English, lingua franca usata oggi da milioni di persone in Camerun, Nigeria, Ghana e Sierra Leone con piccole differenze tra le varianti locali.
Per poter essere longitudinale, una ricerca deve anche essere sostenibile, dal punto di vista finanziario e non solo. Tra tutti i vari fattori da tenere in considerazione ce n’è uno in particolare che merita attenzione, ed è mantenere relazioni positive: tra ricercatori, tra università, tra nazioni…e tra i ricercatori e le comunità locali. Concentriamoci un attimo su quest’ultimo aspetto.
Immagina di vivere in Camerun in un villaggio lontano dalle città, di essere uno dei pochi rimasti a parlare una lingua in via di estinzione e di essere povero. Almeno due volte l’anno un gruppo di Camerunensi cittadini e due bianchi visitano il tuo villaggio: restano qualche settimana, fanno interviste con registrazioni audio e video, e assumono come consulenti alcuni abitanti del villaggio tra quelli che parlano meglio inglese o che sono più bravi a rapportarsi con gli stranieri in maniera amichevole. Come ti sentiresti? Se io fossi nei panni di questa persona non sarei proprio felicissimo, e lo sarei ancora meno se le visite fossero frequenti, svariate volte l’anno per diciamo 25 anni. Una situazione del genere sarebbe difficile da sopportare così a lungo se non riuscissi a vederci alcun vantaggio, magari indiretto, anche per me e per la mia comunità di riferimento.
È alla luce di considerazioni come questa che, sin dall’inizio, KPAAM-CAM ha deciso di includere lo sviluppo comunitario tra i suoi obiettivi fondamentali: una parte consistente dei fondi per pagare i consulenti linguistici e culturali doveva essere impiegata perché intere comunità di villaggio potessero trarne beneficio.
È così che è nato Pig For Pikin. Ma non finisce qui…
E no, perché in una regione densa ma periferica come il Lower Fungom il ragionamento andava spostato un passo più in là: i 13 villaggi dell’area andavano coinvolti tutti, selezionarne solo alcuni avrebbe sicuramente creato contrasti. E quando si vuol aiutare qualcuno il primo obiettivo è innanzitutto di non nuocergli, giusto?
Tredici villaggi, quindi, che fino a pochi decenni fa erano politicamente del tutto indipendenti e che nei secoli di convivenza hanno sviluppato innumerevoli microstorie di contatti, alleanze e conflitti. Metterli tutti insieme in un progetto come Pig for Pikin è una scelta ambiziosa ma, a ben vedere, necessaria.
E perché i maiali?